Dioniso, il dio della rinascita – 12/13 settembre 2020

Davvero il senso religioso degli antichi greci si limitava alla banale constatazione dell’esistenza di divinità e all’ineluttabilità del nostro destino? Non era presente in quella visione della vita e dell’uomo alcuna prospettiva di rinascita e di superamento del limite?

Certo i testi mitologici più conosciuti narrano spesso della triste sorte a cui vanno incontro gli eroi e dell’irresistibile ingerenza che gli dei operano sugli uomini, della loro onnipossente capacità di determinare processi ed eventi, della personale impossibilità a compiere liberamente le proprie scelte. Ma la ragione per cui questi concetti vennero elaborati e tramandati è da intendersi come un invito alla rassegnazione o invece rappresenta un monito e, quindi, un avvertimento ed un consiglio per una diversa disposizione interiore?

Rileggendo la parte iniziale dell’Odissea troviamo, proprio nell’opera che parla del naufragio, e quindi del disorientamento dell’eroe, una chiara risposta:

Mah… – disse Giove – cesseranno mai gli uomini di imputare a noi Dei i mali di cui patiscono? Dopo che loro stessi ne sono causa, a noi ne danno colpa e la stoltezza loro chiamano destino.

Nella mancanza di consapevolezza va quindi ricercata la ragione che ci impedisce di vivere la ricchezza della nostra natura e di goderne pienamente le potenzialità.

Per questa ragione “Conosci te stesso” era la scritta che sormontava il famoso Tempio di Delfi, dove ci si recava per chiedere all’oracolo risposte a ciò che non si era in grado di intendere: come si sa, era luogo consacrato ad Apollo, dio della chiaroveggenza, ma, cosa meno nota, anche a Dioniso, dio della rinascita.

Tra tutte le divinità è questa la più antica, rintracciabile già in età Minoica (2000 a.C.), e la sua complessità è davvero unica. Dioniso è infatti il dio salvifico che, fattosi uomo, risorge dalla propria morte e dona ad ogni essere umano la possibilità di rinnovarsi e rinascere dalle proprie ceneri, sia durante la sua esistenza terrena che in una visione più ampia del suo divenire, in piena analogia con il vitalismo che caratterizza ogni aspetto della Natura, testimonianza e insieme celebrazione del significato profondo ed intrinseco del progetto creativo, del suo costante perpetrarsi in ulteriore e diversa, quindi nuova, vita.

Come Osiride, è il dio che ha dovuto subire il tradimento e attraverso il sacrificio dello smembramento ha fecondato della sua natura tutti gli uomini, portando loro consapevolezza del fuoco creativo che si rinnova in ogni atto di comunione e, quindi, d’amore. 

È il dio che si riflette in ogni cosa, che sa assumere qualsiasi forma e che dona la facoltà di trasmutarsi in ciò di cui si fa esperienza, di penetrare la realtà fino al punto di riconoscersi in essa e di percepirla come parte di sé, di godere dell’esistenza nell’esistenza stessa, in quanto atto rituale della vita nella Vita.

La continuità di questi contenuti fu tale e tale fu la permanenza di questo culto da determinare, durante il massimo splendore della Civiltà Greca, la celebrazione delle più significative festività e degli eventi rituali di maggiore importanza tra cui, è bene ricordare, le Grandi Feste Dionisiache durante le quali vennero rappresentate le prime opere teatrali: le Tragedie, dal termine greco “tragos” ovvero capretto, animale posto in stretta relazione proprio con il dio, e le Satire che derivano il proprio nome dai Satiri, esseri mitologici che insieme ai Sileni erano a lui devoti.

Di altrettanta rilevanza fu la sua celebrazione nell’ambito della letteratura mitologica, a partire dai versi di Esiodo (Le opere e i giorni) e di Omero (Iliade e Odissea), alle numerose tragedie a lui direttamente ispirate (in particolare “Le baccanti” di Euripide) oltre ai frequenti richiami presenti in molte altre opere.

Buon ultimo, ma non per importanza, il misconosciuto Nonno di Panopoli (tradotto in latino nel 1610, la sua opera è stata adeguatamente indagata solo a partire dal secolo scorso) che nel V° secolo d.C. scrive un poema di straordinaria bellezza e vastità “Le Dionisiache” (48 canti per un totale di circa 25.000 versi) in cui vengono narrate le gesta del dio e che rappresenta il canto del cigno di questa straordinaria cultura, appena prima del successivo avvento della barbarie.

Ma la continuità della Tradizione scorre simile ad un fiume carsico, ora si nasconde alla vista per sfuggire a sguardi indiscreti ed irrispettosi, ora riemerge con il maggiore vigore dovuto proprio ad ulteriore approfondimento e sedimentazione: non svanisce, acquisisce nuova forza, si trasforma in nuova vita da cui, ancora oggi, possiamo trarre, dall’insegnamento alla comprensione, la consapevolezza necessaria alla nostra rinascita

Carlo Conti

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Nota – Quale naturale prosecuzione di questo corso è prevista, per il 17/18 Ottobre 2020, una ulteriore lezione dal titolo “I misteri orfici”, strettamente connessi agli argomenti svolti, in cui si tratterà del “Mito di Orfeo”, del “Papiro di Derveni”, delle “Lamine d’oro” e degli “Inni orfici”, degli scritti di Eraclito.